top of page

Van Gogh al cinema

Nell' ultimo anno appena concluso ho notato una crescente realizzazione di film o docufilm dedicati ai maestri dell'arte. Potrei quasi azzardare una moda che però ha i suoi lati positivi: porre la bellezza a portata della gente. In effetti è un modo per avvicinarsi all' arte e perché no..magari invogliare a frequentare i musei. Dopo le prime sperimentazioni al cinema, vedi Caravaggio, si è notato in effetti che le persone sentono il bisogno di avvicinarsi all'arte, forse perché una via di fuga dalla società contemporanea e da i suoi problemi, oppure per poter rivedere le loro convinzioni sviluppate durante la scuola superiore dove tutto poteva sembrare dannatamente noioso (per fortuna non il mio caso, in quanto ho avuto insegnanti preparate e con molta passione. Per questo ancora le ringrazio). Ho provato a far caso al tipo di spettatori che questa tipologia di film potesse richiamare, e posso dire che con sorpresa la sala presentava nelle varie occasioni un gruppo eterogeneo formato da adulti, magari anche professori, amanti dei viaggi, famiglie, giovani. Un traguardo direi, tenendo conto anche delle varie richieste di replica, visto che questi spettacoli rimanevano al cinema per una manciata magra di giorni.

Ma arrivando al dunque, "Van Gogh, sulla soglia dell eternità" non fa parte di questo tipo di film. Possiamo dire che sia una pellicola a se, perché in questo caso il punto focale non è far trionfare la sua immensa pittura ma...far conoscere la fragilità dell'uomo, Vincent interpretato da un Williem Dafoe impressionante nella somiglianza..oltre che meritevole di Golden Globe, purtroppo non arrivato.

Ne scaturisce un film introspettivo, disorientante nella delicata gestione di una personalità così difficile come può essere quella di Van Gogh. In certi punti il film diventa quasi claustrofobico, e addirittura riusciamo a percepire ls stesse sensazioni cone quella della stanza gelida dove si ritrovò a vivere nel sud della Francia, la sua confusione, o addirittura la sua frenesia nel dipingere velocemente, cosa sempre messa in discussione da Gauguin.

Nella rappresentazione del disagio mentale del protagonista ci ritroviamo ad essere empatici senza via di fuga e quasi ci domandiamo come gli altri personaggi non riescano a capire la visione del pittore.

I quadri diventano lo sfondo, la verità degli scorci naturalistici e le persone reali, diventano la vera opera. E poi..i fratelli. Il punto chiave della psicologia dell'artista. Theo diventa la sua bilancia emozionale, e il rapporto tra i due, va oltre al mero legame di parentela. Una situazione che si riscontra sorprendenteme anche nei disagi contemporanei, dove prendersi cura dell'altro e qualcosa che ha del raro e del miracoloso.

Le lunghe riprese all'aperto, i lunghi silenzi fanno con questo film uno spettacolo che usa altri metodi per comunicare, cercando di riattivare nello spettatore altri sensi più reconditi rispetto alla vista e l'udito.

La versione della morte viene gestita diversamente da come la si conosce maggiormente, e quindi si rischia presentando quell' ipotesi meno conosciuta rispetto al suicidio.

A mio parere questo film, presentato al festival del cinema di Venezia ha tutta quella serietà intellettuale tipica di tale evento, ma i colori che si possono ammirare vanno oltre. Le riprese in prima persona, movimentate, traballanti..danno il senso di irrequietezza del pittore stesso, anche se rende il tutto davvero impegnativo da seguire. La scena più toccante? Il dialogo con l'uomo di chiesa all' interno della clinica psichiatrica. Una riflessione che lascia senza fiato, dedicata alla bellezza concessa da Dio.

bottom of page